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IL FORO ITALICO

Il Foro Italico si trova nella parte nord della città di Roma, alle pendici di Monte Mario e vicino al fiume Tevere.
L’ambiente naturale di Monte Mario presenta una ricca macchia mediterranea, insieme a boschi di aceri, noccioli ed altre specie che hanno da sempre reso particolarmente suggestivo l’aspetto, protetta ancora oggi con l’istituzione della Riserva Naturale di Monte Mario.
La realizzazione del Foro Italico, vera e propria città dello sport, ha preservato il territorio della collina e degli spazi circostanti, strappando in parte la zona alla speculazione e alla cementificazione.
Questo punto era già chiaro nelle prime fasi della progettazione, negli anni Venti: realizzare strutture e impianti sportivi immersi nel verde. I primi progetti ed interventi del complesso del Foro Mussolini (questo il nome dell’area fin dalla fine degli anni Venti) seguono le linee di un’attenta conservazione dell’ambiente e di un’armonica fusione tra architettura e natura. La disposizione degli edifici del complesso consentì di sistemare la zona come un immenso giardino architettonico all’italiana, rigorosamente calcolato come secondo principi geometrici e misure prestabilite. Dal 1932 al 1942 in tutta l’area del Foro, estesa per 850.000 mq, vennero piantati oltre 5000 alberi delle più diverse specie. Tutti i viali furono muniti di oltre 1000 bocche di presa per l’annaffiamento, oltre a 1000 irrigatori che potevano essere azionati da un solo manutentore in 60 minuti.
La scelta di costruire in questa area la città dello Sport non venne, inizialmente, accettata unanimemente. L’opposizione al progetto si basava in primo luogo sul fatto che l’area interessata era troppo vicina al fiume e soggetta a frequenti inondazioni. Proprio per il terreno paludoso e per scongiurare le inondazioni, prima di avviare i lavori di costruzione, si modificarono gli argini e lo stesso terreno fu rialzato di 5,50 m.

La costruzione della città dello sport tra Monte Mario e le anse del Tevere segue l’idea che il regime ha dello sport. L’attività sportiva e ginnica, durante il fascismo, coinvolge generazioni di giovani ed entra nel mondo della scuola. Ogni sabato, il sabato fascista, vi erano riunioni inquadrate nelle attività del partito, come lezioni di dottrina fascista e pratiche sportive per dare sfoggio della propria abilità.
I filmati dell’Istituto Luce ci hanno consegnato immagini di gerarchi alle prese con esercizi e prove atletiche, modello di propaganda che contribuisce a diffondere il valore dello sport. Lo stesso Mussolini offre di sé l’immagine di un uomo sportivo, cavalcando, nuotando, sciando sulle piste del Terminillo; la partecipazione della nazione allo sport si unisce alla nascita di numerosi miti sportivi, beniamini del pubblico, che mostrano il volto di un’Italia capace di confrontarsi con le altre nazioni. Il Foro Mussolini rappresenta una sublimazione di questa idea dello sport. Da un lato ha la funzione di preparare gli istruttori di future generazioni atletiche, che diano lustro alla nazione, dall’altro serve alla propagande del regime, che ha quindi la necessità di colmare le evidenti lacune strutturali, gli impianti modesti o addirittura mancanti.
La zona Nord di Roma sembra avere fin dall’inizio del secolo scorso una vocazione sportiva. Poco distante dall’attuale Foro italico, nel 1911 era stato realizzato lo Stadio nazionale – ora Flaminio dopo le ristrutturazioni realizzate da Pier Luigi Nervi. La struttura sportiva si trovava poco distante dall’impianto ippico di Villa Glori, dismesso in seguito per far posto al villaggio Olimpico e ai parcheggi in occasione delle Olimpiadi di Roma del 1960, a loro volta sostituiti dall’attuale Auditorium Parco della Musica. Questa vocazione sportiva viene quindi rinnovata dagli interventi per il Foro, in considerazione anche del fatto che la struttura dello Stadio Nazionale, già negli anni Venti, mostrava i suoi limiti, incapace e insufficiente ad accogliere grandi masse di sportivi e di pubblico.

LE PRIME TAPPE DELLA REALIZZAZIONE DEL PROGETTO 

Nel 1926, con la fondazione dell’Opera Nazionale Balilla (ONB), si impone il problema di creare a Roma una struttura sportivo-educativa per la formazione professionale di una leva di istruttori sportivi. Nasce così l’idea, fortemente voluta dal presidente dell’Opera Nazionale Balilla Renato Ricci, di dar vita ad una Scuola Superiore di Educazione Fisica, affidando il compito di progettare la costruzione all’architetto Enrico Del Debbio.
Le iniziali perplessità sorte nei confronti della scelta di Del Debbio di costruire la città dello sport alle pendici di Monte Mario, vengono in seguito superate dalle argomentazioni dell’architetto di proteggere l’ambiente naturale, di dar vita a strutture non elevate sfruttando la particolarità del terreno in modo che l’intera area fosse potesse essere organizzata a parco pubblico, salvaguardando il paesaggio.
Nel febbraio 1928, alla presenza delle massime autorità, si pose la prima pietra della Scuola di Educazione Fisica, dando di fatto avvio alla realizzazione del Foro.
Questo progetto prevedeva la creazione di un viale principale di penetrazione e l’organizzazione intorno allo Stadio dei Marmi di attrezzature sportive per il nuoto, il rugby, il tennis, la pallavolo, il calcio …. Il nome “Foro Mussolini” apparve per la prima volta in un progetto di Del Debbio del 1928.
Il Foro Mussolini è senz’altro uno dei maggiori interventi urbani realizzati durante il fascismo. Il Foro si ispirava al gymnasium, senza essere solo palestra, e alle terme, pur offrendo una maggiore articolazione edilizia. Il Foro dimostra di poter competere con altre grandi strutture sportive quali gli impianti sportivi di Norimberga o quelli di Amsterdam per l’Olimpiade del 1928 o quelli di Los Angeles per l’Olimpiade del 1932.
Una delle caratteristiche del complesso degli edifici del Foro Mussolini è il legame con la tradizione storica, irrigidita e mitizzata, tradizione che è presente nell’arte italiana e nella via del “ritorno all’ordine” che caratterizza il periodo tra le due guerre, all’indomani della travolgente esperienza del Futurismo e delle altre avanguardie del primo Novecento.

L’ACCADEMIA DI EDUCAZIONE FISICA

La sede dell’Accademia di Educazione Fisica fu la prima fabbrica che sorse nel Foro. L’edificio fu ideato e progettato da Enrico Del Debbio, costruito in stretto collegamento con lo Stadio dei Marmi. I lavori iniziarono nel 1928 e vennero terminati nel 1932. L’Accademia doveva essere, nelle intenzioni di Renato Ricci e del governo fascista, il «più gigantesco esperimento di educazione di Stato» mai tentato sino ad allora per la formazione «in senso patriottico e unitario, cioè fascista», delle «classi più giovani di un popolo».
La costruzione è composta da due corpi simmetrici di due piani, collegati da un grande pontile a formare una pianta a “H”. L’esterno dell’edificio deve il suo aspetto particolare e facilmente riconoscibile all’utilizzo del marmo di Carrara nella cornice terminale, negli stipiti  e nei fastigi delle finestre: il bianco del marmo evidenzia questi elementi contrastando con il fondo rosso pompeiano dell’intonaco. Sui lati corti dei 2 corpi principali trovano posto, entro nicchie incorniciate da edicole di marmo a fastigio triangolare spezzato, 4 statue di atleti scolpite offerte, come le statue dello Stadio dei Marmi, dalle Province d’Italia.
Nelle nicchie verso il Lungotevere si trovano il Giocatore di bocce (donato da Udine) e l’Atleta (donato da Trento). Nelle nicchie verso lo stadio si trovano il Rematore in riposo (donato da Genova) e il Pugile vittorioso (donato da Viterbo). Le quattro statue sono degli scultori Silvio Canevari e Carlo De Veroli.
Nonostante l’aspetto classicheggiante dell’esterno, la struttura è costituita da un’ossatura di cemento armato e muratura di riempimento progettata dall’ingegnere Aristide Giannelli. Una vasta platea di fondazione costituita da travi eleva il piano di posa dell’edificio 5 metri sopra il livello naturale, in modo da superare il limite di massima piena del Tevere. Un’intercapedine a struttura di cemento armato percorre il perimetro dell’edificio, lo isola e permette di sostenere la spinta del terreno di riporto.
In corrispondenza  del grande pontile un ampio arco metteva in relazione l’edificio con lo Stadio dei Marmi attraverso una rampa di discesa. La realizzazione dell’intero complesso architettonico richiese 11 mesi di lavoro e l’impiego di 680 operai.
L’edificio dell’Accademia di Educazione Fisica del Foro Mussolini fu occupato fino al 1948 dagli angloamericani subito dopo la liberazione di Roma; in occasione dell’Anno Santo del 1950, proclamato da Pio XII, nella spasmodica ricerca di strutture ricettive in una Roma ancora seriamente in difficoltà dopo la parentesi bellica, l’Accademia fu concessa ad una gestione privata che diede vita all’Albergo Felix. Organizzare l’inconsueto hotel non fu difficile, essendo la costruzione già dotata di camerate, servizi igienici, impianti funzionanti che assolsero all’emergenza.
La nuova funzione del Palazzo H durò poco più di un anno, nel 1951 infatti vennero trasferiti gli uffici del CONI impegnati a costruire il nuovo Stadio Olimpico.
Attualmente il Palazzo ospita il CONI e l'Università degli studi di Roma "Foro Italico".

Il pianterreno dell’Accademia ospitava gli ingressi, le aule, i gabinetti scientifici, i servizi, il refettorio, la cucina, la mensa ufficiali, un parlatorio, una sala di musica, la sala di scrittura, la sala dei trofei, poi divenuta Sacrario destinato alla memoria di Arnaldo Mussolini, fratello del duce. Nell’ingresso, cui si può accedere sia dal lato verso il Lungotevere sia dal lato interno del Foro Italico, è collocata una statua bronzea di Emilio Greco, datata 1960, che rappresenta una figura femminile "La Vittoria Olimpica" celebrativa delle XXVII Olimpiade organizzata a Roma. La statua, resa con linguaggio essenziale ma non privo di elementi naturalistici, propone una figura monumentale (alta più di 4 metri) e al tempo stesso elegante, che sostiene la fiaccola olimpica. Il corpo della figura, nonostante la struttura possente, si sviluppa secondo linee morbide e volumi torniti; il corpo si muove con andamento elegante e sinuoso, traducendo in forme moderne tratti scultorei di gusto classicheggiante.
Prima di salire la rampa di scale si trova un’opera bronzea raffigurante “Il pugile in riposo” realizzata nel 1931 dallo scultore Romano Romanelli
La composizione ripropone la posizione della celebre statua bronzea “Il pugile” attribuita a Lisippo o alla sua cerchia, ritrovata alle pendici del Quirinale alla fine del 1800 e attualmente conservata al Museo nazionale Romano
La statua riprende in parte il modello ellenistico, per la contemporanea presenza di stasi e di movimento, reso con minore incisività nello scarto della testa di lato.
Il corpo muscoloso è caratterizzato da superfici continue e levigate che rendono essenziali i tratti anatomici. La composizione è costituita dall’incrocio geometrico delle braccia davanti al corpo.
I due grandi scaloni elicoidali in cemento armato furono realizzati per collegare il piano seminterrato e i piani superiori. Le grandi vetrate sfruttano la massima luminosità e alleggeriscono la visione d’insieme, già nitida e armoniosa grazie all’ampiezza della curvatura dello scalone . Si tratta di un elegante esempio di architettura razionalista italiana. Gli scaloni elicoidali sono ospitati all’interno delle torri sporgenti dai due corpi principali dell’edificio.

L’AULA MAGNA

Al piano superiore si apre il Salone d’onore, ex Aula Magna dell’Accademia, dove si trovano le pitture murali di Luigi Montanarini (Apoteosi del fascismo, del 1936) e di Angelo Canevari (dipinto allegorico della storia di Roma) e quattro affreschi laterali di Romolo Dezzi raffiguranti attività sportive e ginniche.
Il dipinto di Luigi Montanarini, raffigura il duce arringante su soldati, lavoratori ed atleti seminudi sventolanti bandiere con il fascio littorio, secondo un’immagine propagandistica molto cara al regime.
Al centro su un drappo rosso con un’aquila dorata si trova Mussolini circondato da alti gerarchi, fra i quali si distinguono a sinistra De Vecchi, De Bono, forse lo stesso presidente dell’ONB Renato Ricci, mentre a destra con gli occhiali, di profilo, Michele Bianchi, primo segretario del partito fascista dal ’21 al ’23; con la barba è raffigurato Italo Balbo, seguito da un uomo (forse il genero del duce Galeazzo Ciano ) e da Starace, segretario del partito nazionale fascista negli anni trenta e presidente del Comitato Olimpico Nazionale Italiano fino al 1939.
Ai piedi del podio, sulla destra, gruppi di soldati e camice nere, che innalzano il classico vessillo del teschio con il pugnale tra i denti, a seguire i giovani studenti dell’Accademia, disposti in file e con la divisa, che sollevano stendardi uguali a quelli delle legioni romane con le aquile imperiali dorate; in basso è rappresentata la forza lavoro dell’Italia dell’epoca (operai e contadini con i rispettivi attrezzi), mentre al centro due  figure imbracciano il moschetto e, tenendo un libro in mano, incarnano gli ideali del fascismo (rappresentano il detto fascista “libro e moschetto, fascista perfetto”). Più a sinistra un gruppo di figure rappresenta la famiglia sopra la quale sventola una bandiera nera con la M per Mussolini: troviamo mamme papà e bambini, in quanto il fascismo incoraggiava le famiglie numerose come modello sociale.
In primo piano, invece, una grande figura maschile con una vessillo con il fascio littorio sconfigge un’altra figura maschile, con i capelli a forma di serpenti, forse raffigurante la sconfitta del comunismo da parte del fascismo.
Proseguendo sempre a sinistra si trovano le giovani italiane vestite con la divisa dell’Accademia Femminile di Educazione Fisica, che aveva sede a Orvieto.
In alto a sinistra lo sfondo presenta delle costruzioni architettoniche che riproducono in modo stilizzato le architetture realizzate nell’Agro Pontino (Latina, Pontinia, Sabaudia); accanto sono raffigurate le forze navali e aeree, i ponteggi che alludono alle nuove architetture e alle nuove realtà urbane che vedono la nascita negli anni del fascismo. In alto a destra un angelo tiene in mano il gladio e l’alloro simbolo di vittoria. Le fiamme che lo accompagnano alludono alla nuova ideologia fascista: bruciando tutto si rinnova tutto.
A partire dall’immediato dopoguerra la pittura murale è rimasta coperta da un largo telo verde per cinquant’anni, subendo una sorta di condanna alla damnatio memoriae; alla fine degli anni ’90 del secolo scorso la Soprintendenza ai beni artistici  decise di togliere il telo che lo ricopriva e di sottoporre l’intera scena a restauro conservativo.
Il secondo dipinto murale, sul lato opposto della sala, ripercorre le vicende della nascita e della storia di Roma. In questo modo le due pitture murali appaiono collegate  in un dialogo a distanza fra impero romano e impero fascista, fra Roma antica e Roma moderna, secondo un programma iconografico e culturale molto caro al regime. La scena può essere letta con un andamento a fasce dal basso verso l’alto, da destra verso sinistra. In basso la nascita di Roma attraverso il mito dei due gemelli salvati dalla lupa, la fondazione di Roma con il solco tracciato dall’aratro e la costruzione delle mura, la forza di Roma. A sinistra ci sono dei personaggi che simboleggiano la lotta tra il bene e il male, Caino e Abele, Romolo e Remo. Nella parte centrale vediamo le legioni romane che innalzano i classici stendardi con le aquile imperiali color d’oro.
Nella fascia superiore a destra un muro a L chiaro inquadra una gruppo di figure.
Seduto c’è una figura di antico romano che ha le sembianze dell’architetto Luigi Moretti, che nel '33 è subentrato al posto Del Debbio nella progettazione del Foro Mussolini; poco più al centro, sempre vestito da antico romano, con la barba e il braccio teso si autorappresenta Angelo Canevari.  Sono queste figure a raffigurare le maestranze che chiedono il compenso del lavoro; nella scena centrale molti sono i rimandi all’arte del passato, come la figura del cavaliere con il cavallo imbizzarrito (che richiama l’affresco della “ Cacciata di Eliodoro dal Tempio”, opera di Raffaello nelle Stanze Vaticane) o la figura femminile vestita in blu che nella torsione del corpo ricorda le figure serpentinate di Michelangelo. La fascia poi prosegue con la forza militare di Roma che conquista il mondo con le sue legioni.
In alto domina la scena la statua marmorea della Dea Roma, che tiene in mano il globo, che simboleggia la massima espansione dell’impero romano, quando Roma dominava la scena mondiale. A sinistra, dentro una cinta muraria, la città richiama le costruzioni di Roma antica, ispirandosi nuovamente a esempi del rinascimento italiano, come la raffigurazione di una città antica eseguita da Andrea Mantegna nella Camera Picta del Castello dei Gonzaga a Mantova.
Sui lati lunghi, vicino alle due grandi pitture murali, si trovano 4 affreschi di Romolo Dazzi; a sinistra dell’Apoteosi del fascismo si trova la raffigurazione di ginnasti alle prese con esercizi al quadro svedese, mentre sulla parete opposta figure maschili di atleti si cimentano nella corsa a ostacoli, nel salto con l’asta e nella corsa. Dalla parte opposta le scene con le attività acquatiche (tuffi, la vela e il nuoto) e con gli esercizi di arrampicata e alpinismo affiancano la ricostruzione delle vicende di Roma.
Tradizione e modernità fanno parte del linguaggio artistico di questi dipinti, coerenti con le tendenze artistiche del periodo fra le due guerre che, nel caso della decorazione di grandi opere pubbliche, hanno l’ambizione di divenire “stile”. Come ebbe a dire Mario Sironi nel Manifesto della pittura murale del 1933 "La pittura murale è pittura sociale per eccellenza. Essa opera sull'immaginazione popolare più direttamente di qualunque altra forma di pittura, e più direttamente ispira le arti minori. L'attuale rifiorire della pittura murale, e soprattutto dell'affresco, facilita l'impostazione del problema dell'Arte Fascista".
La decorazione pittorica murale è uno dei linguaggi (insieme a quello musivo) che preferì  il regime. Si trattava di sostituire alla percezione del quadro, che è inevitabilmente soggettiva, la percezione di grandi superfici che dispongono ad una percezione collettiva. In questo modo l’arte pretende di avere funzione sociale, fonde immagini ed architettura in un organismo unico che predispone a riti collettivi. Come qualsiasi altro regime autoritario, anche il fascismo promosse una vasta rete di operazioni volte a costruire il consenso delle masse, all’interno del quale un ruolo determinante fu attribuito all’opera di suggestione dell’immagine, capace di agire sull’immaginazione popolare, in questo caso i giovani atleti e futuri insegnanti che l’Accademia voleva educare e formare. Il regime al potere intende servirsi di un’arte magniloquente, celebrativa e propagandistica, dar vita ad uno stile definito "antico e allo stesso tempo nuovissimo", dove la pittura parli alle masse ed esalti i valori dell'ideologia al potere, rivalutando al tempo stesso il ruolo sociale dell'artista.

Il soffitto del Salone d’onore è realizzato con travature leggere e sostenuto da mura non particolarmente spesse, grazie all’organizzazione delle parti di fondazione, anch’esse con travi di cemento armato e quindi leggere ma efficaci. Dal soffitto scendono i lampadari di Murano originali, come sono originali le porte in legno con motivi a spina di pesce.
Alle pareti sono appesi quadri ufficiali delle manifestazioni olimpiche effettuate nel tempo, comprese le olimpiadi invernali. In particolare si notano quelli di Roma ’60, quelli dei giochi olimpici invernali di Cortina del 1956 e quelli di Torino del 2006. Sulla parete dell’ingresso la foto di Giulio Onesti, primo presidente del CONI dal 1947 al 1978, che è definito anche “Il Grande Presidente del Coni”.
Come spiegare perché nel Foro Italico sono sopravvissute in buono stato di conservazione tante opere che ricordano o celebrano il fascismo?
Il motivo va ricercato negli avvenimenti storici dell’immediato dopoguerra.
La vita del Foro ricomincerà con la fine della guerra. Nel 1944 fu requisito dalle truppe angloamericane e cambiò il nome in Foro d’Italia e successivamente in Foro Italico. Il piano nobile dell’Accademia di Educazione Fisica divenne sede del comando militare alleato, mentre negli scantinati vennero ospitate alcune attività di servizio. In questo modo tutto il complesso del Foro Italico si salvò da possibili azioni della popolazione liberata, che vedeva in molti edifici, in molti simboli e nelle molte immagini gli emblemi del regime. La cittadella dello sport del Foro Italico divenne un punto di ritrovo per i soldati alleati distaccati per brevi periodo dal fronte. Le strutture ginniche e sportive garantivano ai soldati spazi ricreativi ben organizzati e progettati, che potevano concedere un po’ di svago dagli eventi bellici che proseguivano. Nel 1944 lo Stadio dei Marmi ospitò le finali di atletica riservate alle truppe alleate di stanza nelle zone strategiche del Mediterraneo. La sera stessa della competizione sportiva fu organizzato un concerto durante il quale si esibì anche un giovane Frank Sinatra, non ancora trentenne.

LO STADIO DEI MARMI

L’insieme dell’edificio dell’Accademia e dello Stadio dei Marmi dà vita ad una scenografica scena metafisica; viene interpretato dagli storici dell’arte e dell’architettura come un alto esempio di architettura del Novecento italiano, una sorta di “poesia onirica” che accosta le soluzioni architettoniche di Del Debbio alla ricerca pittorica di De Chirico.
Tutto è stato calcolato perché lo spettatore, percorrendo il breve viale d’ingresso all’Accademia, possa scorgere, attraverso l’arco, le immobili presenze delle statue degli atleti incorniciate dalle quinte verdi di Monte Mario. Il saldo legame tra l’edificio dell’Accademia e lo Stadio dei Marmi era chiaro fin dall’inizio del progetto.
L’Accademia, infatti, formava un unico complesso architettonico con lo Stadio.
Questo, realizzato su disegni di Del Debbio, venne inaugurato nel 1932; era pensato e costruito per l’allenamento degli allievi dell’Accademia e per questo motivo non presenta strutture alte per gli spalti, né pensiline per il pubblico; il punto più alto della gradinata corrisponde al livello stradale, ottenuto sopraelevando di 5.50 metri il terreno originario.
Lo struttura, che sfrutta il dislivello del terreno, è in cemento armato e richiama la tipologia greca dello stadio greco. Ha due lati lunghi rettilinei paralleli, raccordati da tratti circolari su ambo le parti. La rampa che conduce all’ingresso dello stadio presenta un mosaico di Angelo Canevari  a tessere bianche e nere nel quale l’artista raffigura immagini di atleti impegnati in gare sportive, tra le quali spiccano due atleti in corsa, seppur tracciati in forme sintetiche.  Lo stadio ha uno sviluppo di 14.000 metri quadrati e comprende una pista  podistica larga 9 metri a 5 corsie.
Le 8 gradinate, in marmo bianco di Carrara, hanno uno sviluppo continuo, interrotte solo dall’ingresso posto sull’asse maggiore, realizzato rispettando il motivo classico delle “carceri”, destinato nell’antichità all’ingresso degli atleti negli stadi. Anche il pulvinare, tribuna sull’asse minore decorata da due statue bronzee, si rifà ai motivi classici. Le statue bronzee sono opera di Aroldo Bellini e raffigurano gruppi di lottatori. Dello stesso autore sono anche le statue bronzee nelle nicchie all’ingresso dello stadio.
Il coronamento dello stadio è formato da 60 statue marmoree offerte dalle province d’Italia. Le statue hanno tutte la stessa altezza (4 m.) e poggiano su plinti di forma cilindrica. L’uguale altezza delle statue conferisce ritmo all’opera; più che la valutazione delle singole statue rimane efficace l’idea di insieme del complesso architettonico – scultoreo, che celebra il mito della vigoria fisica maschile proponendo, nelle forme dei corpi, legami con esempi scultorei antichi.
Per la realizzazione delle statue venne pubblicato sul giornale “La Tribuna”, nel dicembre 1929, un appello del presidente dell’ONB Ricci al Sindacato degli Artigiani affinchè fosse comunicata la possibilità per gli artisti di presentare i bozzetti delle opere. I vincitori furono incaricati anche di seguire l’esecuzione delle statue. Fra loro Silvio Canevari (che ideò 4 statue) Aroldo Bellini (5) Carlo De Veroli (8)
Il complesso dello Stadio dei Marmi ha volumi puri, rigide simmetrie e scenari di pietra che si fondono con l’ambiente naturale. La chiave per comprendere l’opera  risiede nella componente prospettica che integra architettura e natura. Nello spirito e nella forma dell’opera risulta chiaro l’intento di tornare alle origini, al mondo antico classico. È il bianco e luminoso marmo di Carrara ad essere protagonista assoluto (il nome Stadio dei marmi deriva proprio dall’uso di questo materiale), sfruttando le variazioni luminose della materia.
Ottenuta dal Comitato Olimpico internazionale l’organizzazione della XVII Olimpiade a Roma nel 1960, anche lo Stadio dei Marmi subì alcune trasformazioni, anche se di carattere secondario. Con l’occasione venne scavata una galleria sotterranea per collegare lo Stadio dei Marmi con lo Stadio Olimpico e lungo il cunicolo perimetrale seminterrato ulteriori spogliatoi e ambienti per gli atleti.
La collina di Monte Mario, dal 1952, è dominata dalla statua dorata della Madonna, di Arrigo Minerbi, alta 9 metri che si affaccia sul Foro Italico, nel punto dove fu costruita la Colonia Elioterapica progettata da Del Debbio.

LA FARNESINA

Nel 1937 l’ONB viene sostituita dalla Gioventù Italiana del Littorio (GIL), trasformando così l’organizzazione di giovani in ente direttamente dipendente dal partito fascista. Le conseguenze di questa scelta non tardarono a farsi sentire sull’assetto del Foro.
Già nel 1936 Moretti redigeva un piano – mai attuato – che derogava ampiamente dalla funzione quasi totalmente sportiva del Foro. Si introduceva nell’area del vecchio poligono (nella parte opposta alla Casa d’armi) un Piazzale delle Adunate (o Arengo della Nazione), in pratica un’enorme struttura quadrangolare capace di ospitare 400.000 persone durante le manifestazioni politiche del regime, con a ridosso di monte Mario una gigantesca statua in bronzo nell’atto del saluto romano.
Da questo momento la monumentalità del Foro smette di essere diretta al mito del giovane e dello sport e comincia a rivolgersi senza mezzi termini alla propaganda di regime.
Nel 1938, venuta a cadere l’ipotesi del Piazzale delle Adunate, si passa alla realizzazione del Palazzo Littorio, meglio conosciuto ora come Palazzo della Farnesina, sede del Ministero degli esteri.
Il palazzo doveva essere la sede della Casa Littoria, sede del partito fascista, in cui sistemare il Museo delle realizzazioni del regime con materiale storico e cimeli del fascismo e delle sue opere.
Il Palazzo, fino ad allora presente solo sulla carta in attesa di trovare una giusta collocazione, distrugge l’omogeneità del complesso del Foro. Lo stesso architetto Del Debbio, coautore del progetto vincente, si oppone alla sua collocazione alle pendici di Monte Mario, individuando nelle colossali forme e dimensioni un pericolo per l’omogeneità dell’area. Di fronte alla costruzione si doveva aprire un immenso spazio per le adunate politiche pubbliche, la cui superficie complessiva doveva essere 14 volte quella di piazza Venezia e ben 2 volte quella di Piazza San Pietro. Ma gli eventi precipitarono. Il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra e nell’autunno dello stesso anno i lavori di realizzazione vennero interrotti. I lavori vennero ripresi dopo la guerra, ma solo nel 1956 e due anni dopo venne deciso di trasformarlo nella sede del Ministero degli Esteri.
Il palazzo ha un carattere orizzontale e unitario, dovuto alla ripetizione delle aperture quadrangolari, nel solco della tradizione dei palazzi italiani del Rinascimento. Per dare il senso delle dimensioni, l’edificio supera di un terzo il volume del Colosseo, ed ha un volume complessivo pari alla reggia di Caserta che è la costruzione più grande d’Italia.

LA PALESTRA

Accanto all’edificio dell’Accademia fu realizzata la palestra monumentale, con una pianta semi-ovoidale, affiancata lateralmente da magazzini e spogliatoi. Verso lo Stadio dei Marmi si affaccia all’esterno tramite un porticato preceduto da una scalea. La palestra, il cui asse maggiore misura 28 metri, forniva uno spazio utile non solo alle esercitazioni ginniche, ma anche all’allestimento di conferenze e riunioni. Anche le fondamenta della palestra vennero realizzate con travi di cemento armato e un’intercapedine simile a quelle messe in opera nel palazzo dell’Accademia di Educazione Fisica.
Il soffitto mostra le stesse caratteristiche a travature in cemento armato che sono presenti nel soffitto dell’aula magna. Le grandi vetrate garantivano la massima luminosità all’interno, l’altezza considerevole del soffitto permetteva l’esecuzione di esercizi con lancio di clavette, palle e altri attrezzi di ginnastica.

All’esterno si apre il cortile del Cinghiale, che prende il nome dalla statua collocata in questo giardino che precede l’ingresso alla palestra.
Dal cortile del Cinghiale si percepisce la presenza imponente di un altro elemento fondamentale del Foro Mussolini, l’Obelisco. Questo era l’ingresso al Forum Imperii o Piazzale dell’Impero, un grande viale progettato secondo un assetto centrale, esaltato dal Ponte Duca d’Aosta (che collega il Foro all’altra sponda del Tevere) e dall’andamento simmetrico delle costruzioni dell’Accademia e degli edifici delle  piscine e dell’Accademia di Musica.
L’Obelisco Mussolini e la Fontana della Sfera rappresentavano le 2 “mete” monumentali di questo ampio e profondo viale.

L’OBELISCO

L’idea di erigere un obelisco nel cuore del Foro e di dedicarlo al Duce risale al 1927, quando il Presidente dell’Opera Nazionale Balilla, Ricci, accompagnò da Mussolini una delegazione di industriali toscani i quali, a nome del popolo di Carrara, proposero l’offerta di un enorme monolite.
Il Monolite misurava 17 metri e 40 cm. di lunghezza, 2 metri e 30 di lato alla base e 2 metri all’apice. Molte difficoltà attendevano i cavatori: dalla difficoltà di trovare ed estrarre dalle Alpi Apuane un blocco monolitico integro al trasferimento del gigantesco blocco dalle Alpi Apuane al Foro.
Roma antica era già passata attraverso simile prove, più di una volta obelischi monolitici furono trasportati dall’Egitto. Gli stessi Papi, nei secoli successivi, promossero imprese di questo tipo, ma in tempi più recenti non c’era stata alcuna esperienza del genere. La soluzione quindi fu “inventata”.
Il monolite fu ingabbiato in una solida armatura di legno e di ferro, imbrigliato con una maglia di funi d’acciaio e dopo essere stato saldamente assicurato alle pareti rocciose, il blocco fu calato a valle. Fu poi trascinato da 60 paia di buoi su binari lubrificati che venivano spostati a mano a mano sino alla spiaggia. Fu imbarcato su l’Apuano, un galleggiante appositamente costruito. Dopo il percorso per mare, risalì il corso del Tevere. I lavori di innalzamento del monolite, dopo lo sbarco, cominciarono solo nel 1932, quattro anni dopo l’inizio del viaggio verso Roma. Ci si ispirò, per erigere il monolite, ai lavori messi in opera da Domenico Fontana, nel 1586, per erigere l’obelisco di piazza San Pietro. Domenico Fontana, agli ordini di papa Sisto V, utilizzò 44 argani, 900 operai e 140 cavalli. Nel 1932 si fece ricorso al cemento armato e a sollevatori meccanici, ma il principio seguito fu sostanzialmente lo stesso.